I taccuini di Tarrou – 121

Ogni risveglio è un trauma, uno strappo, una nuova, dolorosissima rinascita alla vita dunque alla sofferenza, una resurrezione non voluta dall’oblio del sonno. È il conforto dell’incoscienza e dell’illusione che svanisce, spazzato via dal sorgere del sole, quel maledetto sole che è sempre lo stesso, insostenibile e inopportuno, invadente e crudele. È il ritorno violento alla monotonia dei secoli, alla vanità e all’ingiustizia permanenti, al dolore sordo e inestinguibile, che cova come brace sotto ogni cosa, avvelenandola alla radice. Nel momento terribile del risveglio mi sento eterno, e percepisco la drammatica eternità delle disgrazie del mondo, del male insensato, assurdo, fatto e subìto dall’uomo – in questo istante il desiderio di scomparire assume una consistenza fisica, tangibile e un’intensità formidabile. Ripiombato mio malgrado nell’incubo della realtà, vorrei spazzare via tutto con un soffio, perché ci sono momenti in cui la distruzione appare come l’unica possibilità di pace, come l’unica garanzia d’innocenza e di purezza. Incapaci di proteggere i nostri bambini, cos’altro dovremmo fare se non estinguerci? La spaventosa colonna sonora dell’inferno di Dante, le grida, i pianti, i lamenti, le bestemmie, è ciò che sento ad ogni dannato risveglio e ciò che mi accompagna per tutta la giornata, tacendo finalmente soltanto nell’attimo in cui, distrutto dalla mia percezione della sofferenza e del male, eccessivamente sviluppata, naufrago nel sonno, nell’oblio, nel silenzio, quell’oblio e quel silenzio che vorrei diventassero permanenti, e verso i quali tendo con tutto me stesso da quando ho una coscienza.

Gustave Doré, Illustrazione del XXIV canto dell’Inferno
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